Sintesi dell’intervento nella seduta odierna del Consiglio regionale sulle comunicazioni del Presidente Vendola.
“Penso non sia oggi il mio tempo per esordire da semplice consigliere regionale nel dibattito in aula, perché conosco e mi hanno insegnato come si sta nella vita ed anche nella vita politica.
Intervengo solo per ringraziare tutti i colleghi consiglieri regionali, di maggioranza e opposizione, per quello che hanno saputo darmi e che hanno avuto parole di cortesia e di grande amicizia nei miei confronti durante il dibattito in aula. Sono ovviamente contento per le parole che hanno saputo stigmatizzare il senso di un impegno amministrativo. Ringrazio tutti quindi, anche quelli che non si sono espressi apertamente ma che in cuor loro avrebbero voluto farlo.
Ringrazio tutti i colleghi della Giunta, soprattutto di quelle a cui io ho preso parte, e il Presidente Vendola, che nel giugno del 2009 mi diede l’opportunità di cominciare questa esperienza. In politica si vince e si perde, e si vive nella consapevolezza che il dare e prendere rappresenta un concetto di profonda reciprocità e, con questa consapevolezza, devo dire di essere grato al presidente Vendola perché ho imparato tanto ed oggi, dopo l’esperienza da assessore, sono una persona diversa. Si è trattato per me di una tappa della vita che mi sarà utile perché la vita viene prima della politica, così come lo stato viene prima dei partiti politici.
Poichè dunque non bisogna mai farsi condizionare dal ‘come è andata a finire’, sento di dover ringraziare il presidente Vendola e lo dico anche perché ultimamente ogni mia dichiarazione veniva sempre interpretata come il punto di vista di chi si era fatto assoggettare ad una condizione di amarezza, che c’è (guai non ci fosse) ma che è durata poco, lasciando presto il posto alla razionalità del ruolo da consigliere che ricopro perché i cittadini pugliesi me l’hanno consegnato e che tenterò di onorare.
Mi permetto solo di ribadire in questa occasione, poiché il presidente Vendola lo ha evocato, il concetto di trono vacante, quale è oggi la politica: nunc dimittis servum tuum (ora dimetti il tuo servo). Il ‘trono vacante’ del presidente Vendola è però solo la prima parte di un ragionamento che condivido; c’è una seconda parte, rimasta inespressa, che vale per tutto il dibattito di oggi, ovvero quella che sancisce che l’obbligo di dimettersi appartiene alla nostra capacità di ‘scongelarci’ dal continuare a fare così come abbiamo fatto, e riuscire a fare qualche passo in avanti.
Abbiamo tutti l’obbligo di dimetterci e scongelarci dalle parole diventate afone, alle quali dobbiamo ricondurre il merito specifico delle cose che facciamo o che intendiamo fare.
Parlando ad esempio di sanità, dobbiamo sapere che ci sono arrivate dall’inaugurazione dell’anno giudiziario della giustizia amministrativa notizie allarmanti sulla densità numerica del contenzioso che subisce un’impennata proprio nell’ambito della sanità e dunque ci si accorge che c’è un problema di qualità del procedimento amministrativo, altrimenti difficilmente si va davanti al tribunale amministrativo per invocare giustizia. Le parole non afone sono quelle, dunque, che a ‘sanità’ fanno corrispondere una attenzione rigorosa ai procedimenti e che garantiscono la legalità per acquistare beni e servizi e per realizzare opere. Altrimenti non c’è ospedale o macchinario che si possa inaugurare.
Lo stesso discorso vale con riferimento alle infrastrutture: dobbiamo parlare dell’insieme, della progettazione, dell’ambiente, del ruolo e contributo della cittadinanza, dei lavoratori e del loro diritto a portare a casa una stipendio; dopo aver fatto tutto questo parlare, però, deve arrivare il punto irrevocabile in cui si apre il cantiere, senza ripensamenti o indugi. Vi faccio un esempio: la strada regionale n. 8; dopo decine e decine di conferenze di servizi e l’ascolto di tutti i soggetti coinvolti, tenendo anche conto dei beni ambientali che appartengono al codice genetico di tutti noi, alla fine dobbiamo fare i lavori, perché se tergiversiamo le parole che pronunciamo in quest’aula sono parole afone, congelate.
Il processo di scongelamento è quindi necessario affinché ognuno di noi possa invocare il proprio ‘nunc dimittis servum tuum’, che equivale a scongelare parole ed abbandonare la stanca retorica: solo così si potrà provare a fronteggiare il tempo difficile, e chissà se ce la faremo”.